Giuseppe Montezemolo
Giuseppe Cordero Lanza di MONTEZEMOLO
Figlio di Demetrio, generale di brigata, e di Luisa Dezza, nacque a Roma il 26 maggio 1901, in una famiglia di antica tradizione militare originaria di Mondovì, in provincia di Cuneo.
Intraprese giovanissimo la carriera delle armi: nel giugno 1918 si arruolò volontario nel corpo degli alpini e, in agosto, fu inviato in zona di guerra, sui Monti Lessini, e si guadagnò il grado di caporale. Al termine del conflitto, nel dicembre 1918, fu ammesso al corso speciale per ufficiali di complemento del Genio presso l’Accademia militare di Torino nel quale si classificò primo. Promosso sottotenente, prestò giuramento il 2 novembre 1919.
Nel gennaio 1920 si congedò e riprese gli studi universitari al Politecnico di Torino, interrotti due anni prima. Conseguita la laurea in ingegneria civile, il 29 luglio 1923, trovò lavoro come ingegnere progettista in un’importante impresa di costruzioni genovese e, nell’agosto successivo, sposò Amalia Dematteis, figlia del medico di famiglia dei Montezemolo, da cui avrebbe avuto cinque figli: Manfredi, Andrea, Lydia, Ysolda e Adriana.
Deciso a riprendere la carriera militare, nel dicembre 1924, partecipò con successo al concorso bandito dal governo per l’ammissione di ufficiali al servizio attivo permanente del Genio, riservato ai laureati reduci di guerra; il 18 dicembre 1924 fu nominato tenente del Genio. Nel gennaio 1928 fu promosso capitano e gli venne assegnato il comando della I compagnia del Reggimento ferrovieri del Genio di Torino. In seguito, entrò alla Scuola di applicazione di Artiglieria e Genio come insegnante di scienza delle costruzioni. A partire dal 1930, per tre anni, frequentò la scuola di guerra, classificandosi primo su 71 ufficiali allievi, ed entrò a far parte della 40ª squadriglia della Regia Aeronautica. Nominato primo capitano al comando del Corpo d’armata di Torino nel 1934, continuò a dedicarsi all’attività scientifica e pubblicò studi di notevole valore dottrinale. In quegli anni, come la maggior parte degli ufficiali di carriera, guardò con favore all’affermazione del fascismo, confidando che potesse garantire la pace sociale e valorizzare il ruolo delle forze armate nella società.
Allo scoppio della guerra d’Etiopia, nel 1935, fu chiamato a Roma all’Ufficio servizi del Corpo di stato maggiore. Nominato maggiore, ottenne il comando di un battaglione del 1° reggimento Genio a Vercelli e, nel settembre 1937, arruolatosi nel Corpo truppe volontarie italiano, partì per la Spagna. Dapprima assunse il comando del battaglione Telegrafisti, poi divenne capo di stato maggiore della brigata Frecce nere, incarico che gli valse la promozione a tenente colonnello e una croce di guerra al valor militare. Nel giugno 1938 fu nominato insegnante aggiunto di logistica all’Istituto superiore di Guerra.
Il 4 giugno 1940, pochi giorni prima dell’ingresso dell’Italia nel secondo conflitto mondiale, fu trasferito al Comando supremo dell’esercito presso il ministero della Guerra, dove divenne in seguito responsabile dello scacchiere africano e infine capo dell’Ufficio operazioni. Intraprese 16 missioni in Africa settentrionale e, dopo aver ottenuto una medaglia di bronzo e una d’argento, fu insignito della croce di ferro tedesca di seconda classe. Ugo Cavallero, capo di stato maggiore dal 1940 al 1943, si avvalse regolarmente della sua collaborazione. Il 1° maggio 1943, fu promosso colonnello e gli venne conferita la croce di cavaliere dell’Ordine militare di Savoia. In questo periodo presenziò ai principali vertici con le autorità tedesche: l’8 aprile fece parte della delegazione italiana a Klessheim e il 19 luglio partecipò al drammatico incontro di Feltre fra Mussolini e Hitler.
Maturava frattanto in Montezemolo una profonda disillusione nei confronti del fascismo. Ciò lo spinse ad assumere un ruolo di spicco nei progetti di destituzione di Mussolini che facevano capo alla corona e ai vertici delle forze armate. Dopo il 25 luglio, il nuovo capo del governo, Pietro Badoglio, lo incaricò di recarsi a Palazzo Venezia a ritirare i documenti contenuti negli archivi dello studio di Mussolini e gli affidò la direzione della sua segreteria particolare. Sollevato da questo incarico politico su sua esplicita richiesta, si mise a disposizione del generale Giacomo Carboni, allora in cerca di ufficiali da assegnare allo stato maggiore del Corpo d’armata motocorazzato. Designato comandante dell’11º raggruppamento Genio motocorazzato, si dedicò all’allestimento dell’unità combattente.
Nei giorni che seguirono l’annuncio dell’armistizio di Cassibile, Montezemolo fu tra i protagonisti della prima resistenza armata contro i Tedeschi a Roma. Il 10 settembre, fece parte della delegazione italiana guidata dal generale Giorgio Calvi di Bergolo che raggiunse a Roma il comando del maresciallo Albert Kesselring per fissare le clausole finali della resa e ottenere il riconoscimento dello status di città aperta della capitale.
Posto alla direzione dell’Ufficio affari civili, rifiutò di prestare giuramento di fedeltà alla neonata Repubblica sociale. Riconosciuto il governo del Sud come unico legittimo, svestì la divisa, si procurò documenti falsi (col nome di Giacomo Cateratto) ed entrò in clandestinità. Fu il promotore, l’anima e la guida del Fronte militare clandestino di Roma (FMCR), un centro operativo che riuscì a inquadrare in un unico dispositivo, assieme a numerosi soldati e ufficiali datisi alla macchia, le molteplici formazioni militari che si erano costituite dopo la dissoluzione dell’esercito italiano nei giorni successivi all’armistizio.
In pochi mesi si delineò un’organizzazione definita e funzionale, dotata di un servizio informativo altamente sviluppato nel Lazio e in numerose regioni centro-settentrionali e di un organico che raggiunse 12.000 patrioti operanti nella capitale. Montezemolo volle imprimere al FMCR un carattere eminentemente nazionale e si batté affinché le bande militari fossero riconosciute come aliquote delle forze armate italiane rimaste isolate in territorio occupato. Venne stabilito un regolare contatto radio col Comando supremo che, in una delle prime comunicazioni, designò Montezemolo suo diretto rappresentante in Roma e lo investì del compito di organizzare e dirigere la lotta di liberazione. Siglati da una «M», i messaggi inviati quotidianamente al governo del Sud e, per suo tramite, agli alleati contenevano informazioni strategiche e politiche di notevole rilievo.
Il 10 dicembre 1943 Montezemolo scrisse le «direttive per l’organizzazione e la condotta della guerriglia» e le diramò ai comandanti militari regionali del FMCR. Le disposizioni ammettevano la guerriglia esclusivamente al di fuori del territorio urbano per evitare ritorsioni nemiche, impostazione strategica diametralmente opposta a quella dei partiti antifascisti, soprattutto del Partito comunista, le cui avanguardie armate praticavano la lotta aperta senza quartiere anche all’interno delle mura cittadine. Tuttavia, Montezemolo cercò di improntare la condotta del FMCR a un’idea di solidarietà e cooperazione fra le varie componenti del movimento di Resistenza, al di là di ogni pregiudiziale politica e istituzionale. Il Fronte instaurò un rapporto costante di collaborazione coi partiti del Comitato di Liberazione nazionale, al cui interno Montezemolo assunse il compito di osservatore militare. Su sua iniziativa, inoltre, si costituì un Comitato permanente, emanazione della Giunta militare del Comitato di liberazione nazionale, in cui quest’ultimo fu rappresentato da Manlio Brosio e da Riccardo Bauer e il Comando supremo dallo stesso Montezemolo.
Nei giorni dello sbarco di Anzio (22 gennaio 1944), il collasso delle usuali norme di sicurezza causò un’ondata di arresti che falcidiò i vertici del FMCR: Montezemolo fu catturato il 25 gennaio, verosimilmente in seguito a delazione. Fu un colpo durissimo, da cui l’organizzazione non si sarebbe mai più ripresa. Rinchiuso per 58 giorni nel carcere di via Tasso, fu sottoposto a estenuanti interrogatori e a ripetute e brutali sevizie. Ma mantenne sempre un contegno dignitoso, che suscitò l’ammirazione dei suoi stessi aguzzini, e non fece alcuna rivelazione sull’organizzazione militare riuscendo anzi a far trapelare dalla prigionia informazioni utili per i suoi collaboratori. Vani furono i tentativi messi in atto da amici e familiari, anche attraverso il Vaticano, di ottenerne il rilascio o almeno il ricovero in ospedale e inattuabili si rivelarono i progetti volti a liberarlo con un colpo di mano.
Le autorità tedesche, che sapevano quanto fosse importante il ruolo svolto da Montezemolo e per questo da tempo avevano messo una grossa taglia sulla sua testa, non lo sottoposero a un processo nominativo né procedettero a una sua esecuzione isolata, che avrebbe suscitato scalpore e forse qualche reazione nella città. Pertanto temporeggiarono finché, il 24 marzo 1944, Herbert Kappler decise personalmente di includere il suo nome nella lista dei 335 che furono trucidati quel giorno stesso a Roma alle Fosse Ardeatine.
(Fonte: enciclopedia Treccani)